Se vi dicessi che l’80% dei progetti di AI fallisce, come reagireste? E se a questo aggiungessi citazioni a tutti i post, articoli, podcast, che hanno profetizzato l’esplosione della bolla dell’AI negli ultimi mesi?
Prima di inziare a leggere però considerate che ad oggi la maggior parte dei progetti di IT, in generale, fallisce, se andate a vedere le analisi storiche vi renderete conto che negli anni ‘90 solo il 16% dei progetti IT andava a buon fine, e il picco massimo è stato di un 35% negli ultimi 30 anni.
Quindi non spaventatevi troppo e concentratevi: come va affrontata questa novità cercando di ridurre al minimo le probabilità di fallimento dei progetti? 🙂
Di chi è la colpa?
Troppo spesso cerchiamo qualcuno da incolpare per gli insuccessi. Dalle ricerche che trovate in questo articolo, riassumendo, viene attribuita la responsabilità degli insuccessi:
all’AI (Che non funziona bene, che allucina, non è adatta a fare il mio lavoro e aggiungete quello che volete),
all’azienda (che non ha le competenze giuste, che ha dati sporchi, che non ha un’infrastruttura adeguata)
Ma… non potrebbe esserci una forte responsabilità anche in chi la usa, che non ci dedica tempo, che non sa come approcciare i tool, che, termine imparato oggi, sta diventando algofobica?
Cerchiamo di andare un po’ a fondo e vediamo di capire, usando qualche dato interessante e un po’ di esperienza, se vale la pena comunque affrontare un progetto AI con queste premesse (Spoiler: sì).
Cosa ci aspettiamo dall’AI (Generativa)?
Permettete che vi annoi con un’altra mia slide ispirata dall’Hype Cycle di Gartner
Direi che potremmo essere tutti d’accordo che le aspettative dell'AI generativa siano al loro massimo. Ormai vediamo AI ovunque e le attribuiamo poteri taumaturgici e miracolosi, la magia di Harry Potter in confronto è nulla. (Edit nel frattempo Gartner ha confermato questa mia visione di uscita dall' hype )
Ma questa è una pura illusione.
L’AI, per quanto evoluta e potente, è ancora estremamente fragile, imperfetta, imprevedibile, opaca, ossequiosa ed estremamente complessa. Vederla come una soluzione magica e immediata per ogni problema può solo portare a frustrazione e delusione, causando il fallimento di progetti costosi per l'azienda.
Probabilmente ci troviamo già da qualche parte DOPO il culmine delle aspettative, davanti alla grande discesa che porta alla fase della disillusione.
Ma questa, per l’esperienza da altri cicli, è la mia preferita: è qui che iniziano i progetti veri, è qui che la si mette a dura prova e che si può finalmente lavorare in pace. Non so quanto durerà ma non mi spaventa per nulla, anzi la stavo aspettando!
Quanto tempo dedichiamo?
Ciò che credo sia importante considerare, e qui mi collego al concetto di “Scarso Tempo Assegnato” nel primo diagramma, è che l’AI richiede tempo per essere compresa.
Prendendo (ed estendendo) l’analogia di Ethan Mollick e dello stagista AI: è impossibile fare valutazioni se non si è dedicato almeno un giorno e mezzo a capire come funziona un modello. È praticamente impensabile avere idee e soluzioni se non si inizia a dedicarle almeno 15 minuti al giorno per provarla, a metterla in pratica e, sfruttando la possibilità che ci viene offerta dal prompt, ovvero di dialogare in linguaggio naturale, verificare cosa sa fare sul campo.
Dedicare poco tempo all’AI = vederla come una bacchetta magica = fallire.
Bassa qualità dei dati
Garbage In → Garbage Out… si sa l’effetto che fa… Troverete milioni di risultati cercando su Google.
I vostri dati non vanno bene, non sono a posto, non sono pronti per l’AI (che li vuole in un certo modo, soprattutto quando parliamo di Machine Learning o Deep Learning)
Proviamo a girare la frittata in
GOLD IN → GOLD OUT, ovvero, se inserite oro otterrete ancora più oro.
Anziché iniziare con mega progetti di revisione dell’intera pipeline dei vostri dati per creare dei data lake grandi come il lago Michigan, concentratevi sulle poche cose dorate che sapete di avere.
Soprattutto all’inizio lavorate su delle Data Puddle, delle piccole pozzanghere di dati, sapientemente riempite di informazioni preziose, o Data Poach, come mi piace chiamarle, includendo il concetto di ‘riempite con dati estemporaneamente, in attesa di un processo più strutturato’.
Che cos’è un Data Poach?
Pensate a una Data Puddle, una pozzanghera di dati mirata, sapientemente riempita con le informazioni essenziali e più utili. Ora, immaginate questa pozzanghera non come una raccolta strutturata e complessa, ma come una risorsa estemporanea e flessibile, in attesa di essere strutturata in un progetto più complesso e organizzato. Questa è l’idea di Data Poach.
L’uso della parola Poach è una mia digressione sul concetto di ‘area di bracconaggio’, ovvero di ambiente instabile -non necessariamente illegale- che utilizziamo per obiettivi tattici. Forse non è inglese perfetto ma… ho bisogno di trasmettervi l’idea che le Data Poach siano dei luoghi un po’ effimeri e un po’ sperimentali in cui succedono cose leggermente al di fuori delle regole normali:
Estemporaneità: Non serve costruire subito un’intera infrastruttura per raccogliere ogni bit di dato disponibile. Iniziate con ciò che avete e sapete essere utile e mettetelo assieme in un luogo sicuro (una cartella sul cloud ad esempio).
Focus su qualità e utilità: I Data Poach non devono essere enormi. Si tratta di raccogliere solo i dati strettamente necessari per risolvere un problema specifico o esplorare una possibilità. Di conseguenza non è così fondamentale che vengano sottoposti a tutti i criteri di validazione che normalmente vengono utilizzati in produzione. È una piccola sala giochi con strumenti molto utili e tattici.
Flessibilità: I Data Poach non richiedono strutture rigide. Sono piccoli “contenitori” di dati temporanei, utili per testare, iterare e costruire le basi per un progetto più ambizioso. Nascono e muoiono molto velocemente e servono solo per dimostrare una tesi
Questo approccio vi permetterà di sperimentare di più, di valutare i risultati del vostro progetto con meno vincoli e farà comunque parte del vostro know how.
Infatti, per continuare a giocare con l’inglese… così otterrete una bella Splash Zone, un’area piena di pozzanghere con cui divertirvi, che piano piano inizieranno a collegarsi e a formare il vostro Data Lake.
No dati (o dati cattivi) → No AI → No Business
E come reagisce l’organizzazione al vostro progetto AI?
La scarsa risposta organizzativa, la mancanza di consapevolezza e allineamento delle persone coinvolte sono elementi culturali che sicuramente si trovano in ogni azienda.
I conflitti interni sulle diverse visioni tra IT e altri reparti, management e utenti finali non aiutano.
Nel caso dell’AI questi possono venire amplificati dalla mancanza di competenze: l’AI è ancora un mondo immaturo e che fino a poco tempo fa era accessibile solo a pochissimi eletti.
Ma l’AI è anche, probabilmente, il più grande processo di change management della storia dell’impresa moderna, e soffrirà di tutte le problematiche che emergono quando si devono fare cambiamenti nelle organizzazioni. Comprese le emozioni che ne derivano quali invidia, gelosia e paura!
Chi mi segue sa che cosa ne penso. L’AI è un processo, un viaggio. Non si può pensare di adottarla senza una pianificazione che includa formazione, fasi di test, accettazione del fallimento.
Aggiungo che il primo problema che vedo normalmente io è la mancanza di consapevolezza di quello che le AI, Generative e non, permettono di fare. Questo unito al fatto che si dedica troppo poco tempo a usarle genera il seguente effetto, che arriva invece da un report internazionale di Bain.
Ciò che viene mostrato qui -seppure accada già in una fase successiva- è che quando si inizia ad usare l’AI, questa non soddisfa le aspettative iniziali. Ma quel ‘Lack of understanding how to utilize tools’ (Mancanza di comprensione dell'utilizzo degli strumenti) non è qualcosa che si può, in questo momento, delegare soltanto una formazione strutturata. L’AI è troppo in movimento ed il rischio di imparare cose vecchie è dietro l’angolo.
Attenzione: non dico che non serva formazione, anzi! Ma, tornando al primo punto: non possiamo pensare che l’AI legga nelle nostre menti se non ne comprendiamo il funzionamento.
Serve una modalità di apprendimento continuo e di sperimentazione da parte di tutti i ruoli. Non possiamo aspettare che venga assunto il Capo dell’AI per iniziare ad usarla. (Qui scusate ma ci scappa lo spot con il mio libro, dove spiego tutto quello che penso passo per passo).
Non siete ancora convinti?
Eccovi l’articolo 4 dell’AI ACT, in vigore da febbraio 2025. I deployer siete voi, che usate l’AI. Ci tornerò sopra.
Ma cosa vuol dire fallimento?
In un progetto IT si parla di fallimento quando un progetto non viene completato, o arriva in ritardo, o ha costi superiori ai ricavi e quindi un ROI negativo.
Ma… Cercare il ROI diretto di un progetto AI, soprattutto all’inizio, è il modo più sicuro per farlo fallire.
Se l’obiettivo che avete con l’AI è quello di misurare subito il suo contributo al vostro margine… preparatevi a sorprese amare.
Allora cosa va cercato?
Come racconto nel libro, il ritorno reale di un progetto AI va misurato con il valore trasformativo che può generare. Alcuni esempi:
Efficienza operativa migliorata: La vostra AI non farà miracoli, ma può automatizzare attività ripetitive e liberare risorse preziose. Pensate al tempo risparmiato dai vostri dipendenti e a come possono dedicarsi a mansioni di maggiore valore.
Insight strategici: L’AI analizza montagne di dati in pochi secondi. Vi dà una nuova prospettiva sui vostri processi, clienti e mercati. Questo vale oro, ma non è qualcosa che troverete subito nel bilancio trimestrale.
Sperimentazione e apprendimento: Investire in AI significa anche imparare come interagire con essa. Sperimentare con piccoli progetti vi permetterà di costruire competenze interne, testare tecnologie e—più importante—sbagliare in sicurezza.
Flessibilità futura: L’adozione di AI crea una base tecnologica e culturale che prepara l’azienda al cambiamento. Questo significa essere pronti per opportunità future, spesso imprevedibili, che senza AI non potreste nemmeno considerare. Significa sapere cosa chiedere ai partner con cui svilupperete i progetti AI, comprendendo fino a dove si può arrivare.
Quindi…
Non c’è verso: fallire è una possibilità, e probabilmente accadrà. Per questo credo sia fondamentale partire con piccoli progetti che, se falliscono, non generano un gran ‘dolore’.
Partite con progetti che hanno un alto potenziale di riuscita, e che possiate controllare, anche se artigianalmente e utilizzando processi semi-manuali.
Piano piano diventerete sempre più bravi.
Durante l’esecuzione di questi piccoli progetti il vostro team potrà sperimentare cosa può fare l’AI, potrà apprendereche servono diversi modelli per ottenere uno scopo (prima o poi cercherò di mettere nero su bianco anche questo importante concetto). Vi renderete conto che passare una giornata con lo stagista AI e poi dedicargli un quarto d’ora al giorno non può che fare bene a voi e alla vostra organizzazione.
L’AI va assunta, non installata, solo dopo aver fatto un percorso di consapevolezza (AI-PLUG è il framework su cui lavoro io) accettando piccoli fallimenti ma guardando al potenziale che, giorno per giorno sta crescendo.
Lavorando a progetti piccoli che mano a mano crescono di complessità, unendo nel tempo le varie Data Poach, vi accorgerete di essere sulla buona strada della creazione di un ecosistema che, una volta maturo, non potrà che generare valore continuo. In un viaggio che sarà di costante apprendimento ed evoluzione.
Non si tratta solo di introdurre l’AI nella vostra azienda. Si tratta di reinventare come operate, decidete e immaginate il futuro. Ogni piccola sperimentazione oggi è un seme per l’innovazione di domani.
Il vero ROI dell’AI è la trasformazione stessa: un percorso che non termina mai, ma che vi porterà a vedere possibilità dove prima c’erano solo limiti.
Che ne pensate?
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